Facciamo da soli. Per uscire dalla crisi, oltre il mito della crescita; ripartiamo dal lavoro e riprendiamoci l’economia

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Francesco Gesualdi, Altreconomia Edizioni, Roma, Italia, 2012

A partire da una globalizzazione che ha peggiorato la distribuzione della ricchezza, il libro individua i meccanismi che hanno prodotto la crisi del 2008 nell’eccesso di debito trasformato in oggetto di speculazione da parte delle grandi banche di investimento. E quando le famiglie americane hanno alzato le mani per dire che non potevano restituire i loro debiti, l’intero castello finanziario costruito su di essi è crollato portando un sacco di banche sull’orlo del fallimento. Subito sono intervenuti gli stati che per salvare le banche hanno indebitato se stessi, condannando le loro popolazioni a un’austerità rovinosa. La parola d’ordine del sistema per uscire dalla crisi è crescita, che però cozza con i limiti ambientali del pianeta. Nella seconda parte, il libro indica come uscirne a partire da un modo totalmente nuovo di concepire il lavoro, il mercato, l’economia pubblica.

 

La recensione di Nanni Salio

In tempi di crisi sistemica globale (economica/finanziaria; ecologica/energetica/climatica; sociale/valoriale/morale; alimentare) è importante riflettere criticamente e individuare possibili percorsi di transizione per uscire dal pericoloso tunnel nel quale si è infilata gran parte dell’umanità. Francuccio Gesualdi ha il merito, acquisito grazie alla sua educazione milaniana, della chiarezza, incisività e semplicità espositiva, unita all’arguzia tipica della tradizione fiorentina e toscana in generale.

Nei quattro brevi capitoli della prima parte del libro, egli riesce a delineare e a far capire le ragioni e gli aspetti salienti che stanno alla base della crisi dei debiti sovrani, provocata da un’economia finanziaria di rapina, criminale e priva dei più elementari scrupoli, dove imperversa l’etica dell’avidità senza limiti. Ma come ben sappiamo non basta la denuncia, ma è necessario, diceva Gandhi, un “programma costruttivo”, che viene delineato nei sei capitoli della seconda parte del libro. Occorre “cambiare logica”, ovvero mettere in discussione i paradigmi che stanno alla base della concezione neoliberista e capitalista dell’economia e della società, a cominciare dal fallace mito della crescita illimitata. Ma poi, attuare un cambiamento verso un’economia autocentrata, che ancora Gandhi, e dopo di lui Schumacher, individuava nella piccola scala delle comunità locali. Contestualmente, avviare una “riconversione ecologica” di tutte le attività produttive e di consumo. “Ripensare il lavoro”, ancora una volta sulla scia dei grandi che ci hanno preceduto: “lavoro per il pane” (Tolstoi, Gandhi), “lavorare tutti lavorare meno”, secondo uno slogan oggi persino più attuale di un tempo. “Rifondare l’economia pubblica”, invertendo la tendenza delle privatizzazioni (che letteralmente significano “privare gli altri di un bene”) a favore di una economia dei beni comuni, di una economia del dono e della semplicità volontaria. E infine, “liberarci dalla schiavitù del debito”, rinegoziandolo, rimettendo in discussione i tassi di interesse, avviando procedure di audizione per capire come si è creato, chi ne ha approfittato e chi lo sta subendo suo malgrado. La transizione non sarà immediata, ma è diventata urgente e indispensabile. E il messaggio che riceviamo da questo libro è che essa è possibile e desiderabile: non c’è tempo da perdere.