Las Finanzas éticas y sostenibles en Europa. Primer informe.
Fondazione Finanza Etica Werner Boote, Matteo Cavallito, Mauro Meggiolaro, noviembre 2017
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Resumen :
LA FINANZA ETICA VALE IL 5% DEL PIL EUROPEO
29 Novembre 2017
La finanza etica è molto diversa da quella speculativa e proprio per questo, permette di conservare o aumentare il valore economico dei propri risparmi nel tempo e di aggiungere all’ultima riga dell’estratto conto una serie di altri valori, come il rispetto per l’ambiente, la lotta contro i cambiamenti climatici, il diritto alla casa, l’inclusione delle persone e delle organizzazioni tradizionalmente escluse dai circuiti finanziari ordinari.
E’ quanto emerge dalla prima ricerca sulla finanza etica e sostenibile in Europa - realizzata dalla Fondazione Finanza Etica - e presentata il 28 novembre a Montecitorio nell’ambito di un seminario che abbiamo organizzato insieme al coordinamento dei soci di riferimento, a un anno dall’approvazione della prima legge che riconosce il valore della finanza etica e sostenibile.
Il primo Rapporto europeo sulla finanza etica
La somma delle attività di finanza etica e sostenibile in Europa descritte nel rapporto è pari a 715 miliardi di euro: quasi il 5% in rapporto al prodotto interno lordo totale dell’Unione europea (nel sommare i dati i ricercatori hanno tenuto molto strette le maglie per non includere i prodotti finanziari o creditizi che si definiscono « etici » ma sono annacquati dal marketing, perché anche l’etica può essere un argomento per vendere di più). Ecco come sono suddivisi questi 715 miliardi:
39,80 miliardi rappresentano gli attivi delle circa 30 banche etiche e sostenibili europee, che a fine 2016 hanno concesso crediti per un totale di 29,33 miliardi di euro a decine di migliaia di progetti per l’inclusione sociale, la tutela dell’ambiente, la cultura o la cooperazione internazionale. Di queste banche si parla nella prima parte della ricerca, dove si presenta anche un confronto inedito tra la loro redditività e quella delle grandi banche commerciali europee. Il risultato è una vittoria su tutta la linea da parte delle banche etiche. In particolare la ricerca si sofferma sul rapporto prestiti/attivi delle banche (dati 2016), evidenziando come questo sia del 73,42% per le banche sostenibili contro il 38,53% per le cosiddette banche sistemiche o “too big to fail”. E’ una differenza enorme, in pratica le banche etiche e sostenibili erogano il doppio di prestiti a parità di attivo rispetto a quelle di maggiore dimensione. Le banche etiche si confermano anche più solide e resilienti: negli ultimi 10 anni i loro rendimenti sono stati costanti.
493 miliardi sono stati invece investiti in fondi socialmente responsabili e quindi in azioni e obbligazioni di imprese quotate in borsa o in titoli di Stato, tutti selezionati in base una serie di criteri di sostenibilità: niente armi, gioco d’azzardo, petrolio, carbone o tabacco. Via libera, invece, per le società e gli Stati « migliori della classe »: che investono nelle energie rinnovabili, adottano sistemi di gestione ambientale certificati e non sono coinvolti in alcun tipo di controversie gravi. Di questi fondi si parla nella seconda parte del rapporto, con particolare attenzione alle definizioni che sono importantissime per riuscire a distinguere chi investe veramente in modo responsabile da chi, invece, vuole solo dipingere normali prodotti finanziari di verde per attrarre nuovi « segmenti di clientela ».
2,54 miliardi di euro sono l’ammontare dei microcrediti concessi in Europa. Una cifra piccola rispetto ai crediti delle banche etiche e gli investimenti dei fondi socialmente responsabili ma che rappresenta la somma di centinaia di migliaia di piccoli prestiti che fanno la differenza. Il microcredito, reso famoso dal « banchiere dei poveri », il bengalese Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace nel 2006, si è dimostrato valido anche per le esigenze di 750mila europei: prestiti da poche migliaia di euro che hanno permesso l’avvio di attività imprenditoriali di successo o per far fronte a bisogni temporanei di liquidità. C’è chi con quei soldi ha aperto una sartoria che lega Italia ed Africa, chi ha lanciato una start-up diventata milionaria e chi, più modestamente, ha pagato le spese mediche per l’assistenza di un parente. Donne e uomini che non sarebbero mai riusciti a ottenere un finanziamento da una banca tradizionale perché considerati « non bancabili »: disoccupati o con un lavoro precario o poco remunerato oppure giovani con idee innovative ma senza capitali per realizzarle.
E infine i titoli obbligazionari verdi (green bond), attraverso i quali le imprese e le amministrazioni si indebitano sul mercato per finanziare progetti ambientali, sono esplosi nel biennio 2013-2014 e da allora continuano a crescere. In Europa, secondo l’ultimo dato aggregato dello scorso anno, il valore dei titoli green in circolazione è pari a 178 miliardi di euro. Marginali ma in forte espansione, i social impact bond stanno invece finanziando progetti di welfare per un totale di 273 milioni di euro. Una delle nuove frontiere della finanza etica e sostenibile che viene approfondita nella quarta parte della ricerca, tra molte luci e alcune ombre.
(articolo de La Banca etica digitale)